“Il dolce pome che per tanti rami
cercando va la cura dei mortali
oggi porrà in pace le tue fami”.
(Purgatorio XXVII, 115.117).
Non passa giorno senza che la parola felicità bussi alle porte del mio spirito. Quando vi pongo attenzione, emerge immancabilmente l’interrogativo: cos’è la felicità? Non mi è facile trovare una risposta soddisfacente. Le persone a cui rivolgo la domanda nascondono la loro esitazione in un sorriso o in una battuta. L’incertezza nel definire la felicità – presente anche nei numerosi libri e articoli che ne trattano – non toglie che la tensione verso di essa abiti in ogni essere umano, anche se svariati sono i termini con cui viene indicata. Nel vocabolario della gente – e anche nel mio – ricorrono spesso parole alternative come: benessere, salute, piacere, autorealizzazione, salvezza…
Senza trascurare la ricerca teorica, ho trovato più produttivo, e anche più piacevole, seguire il cammino dell’esperienza. Dando uno sguardo al mio passato, ho cercato di identificare ciò che ha contribuito a rendermi felice. Come per incanto, numerosi momenti di felicità hanno invaso la mia memoria. I più effimeri si sono dileguati rapidamente, mentre quelli di maggiore consistenza mi hanno fatto rivivere in maniera vivida alcune esperienze che hanno contribuito a costruire il mio paesaggio interiore.
Come in un film ho rivisto e gustato gli sguardi e i gesti d’amore di mia mamma, i momenti che mio padre mi dedicava al termine di una dura giornata di lavoro, la sorpresa di toccare e di baciare con il fiato sospeso e un immenso stupore – poche ore dopo la loro nascita – i cinque fratellini che mi hanno seguito, il maturare progressivo della vocazione, la realizzazione di tanti progetti, la dolce sicurezza di sentirmi amato dal Signore, l’opportunità di camminare insieme a tante persone in percorsi di amicizia affettuosa e di relazione di aiuto, il fascino della bellezza in tutte le sue espressioni…
Se dovessi paragonare quei momenti di felicità a dei fiori, non li collocherei in una serra protetta, ma in un giardino esposto alle intemperie, all’assalto dei parassiti, ai periodi dell’arsura e delle alluvioni. Sono, infatti, convinto che la felicità più duratura, e più gratificante, è il risultato di un impegnativo lavoro su sé stessi per sopportare fatica e dolore, per superare resistenze e crisi, ostacoli e tentazioni, per chiudere gli orecchi ai richiami di tante sirene che invitano a cedere alle proposte di piaceri immediati. Come insegna S. Agostino, è necessario esercitare la ginnastica dei desideri, consistente nel fare emergere gli aneliti più profondi e più autentici che abitano nel cuore. Non è forse vero che solo quando si è trovata la perla più preziosa si è disposti a privarsi di tante cose pur di farla propria?
Volgendo ancora una volta lo sguardo ai momenti di felicità che hanno allietato e tuttora allietano la mia vita mi rendo conto che essi non sono solo mia conquista ma anche frutto di doni ricevuti da tante persone. E soprattutto da Dio. Mentre gli rivolgo spesso la preghiera del salmista: “Rendimi la gioia di essere salvato”, gli chiedo di poter realizzare quando Dante scrive nella Divina Commedia, nella terzina citata sopra. Giunto alle soglie del Paradiso, il Poeta avverte che la sua ricerca di felicità (il dolce pome), da lui inseguita attraverso svariate strade (i tanti rami) avrà termine nell’incontro definitivo con il Signore.
Questo traguardo finale, a cui aspiro, non mi esime dal compito di aggiungere, ogni giorno, una linea al disegno della mia felicità e, possibilmente, a quello degli altri. Com’è suggerito dal seguente sapido aneddoto di Anthony di Mello:
“Un commerciante si presentò al maestro e cercò di sapere da lui qual era il segreto di una vita di successo. Il maestro gli rispose: ‘Fai felice una persona ogni giorno!’. E, poi, dopo una breve pausa, aggiunse: ‘Puoi essere anche tu questa persona’. E dopo un po’ soggiunse ancora: ‘Questo vale soprattutto quando sei tu questa persona’”.