“Parlare è un mezzo per esprimere se stessi agli altri;
ascoltare 
è un mezzo per accogliere gli altri in se stessi”.

In occasione della Pasqua, una persona amica ha voluto aggiungere un tocco di bellezza al mio studio, regalandomi una pianta ornamentale. Un giorno, mentre l’osservavo, mi sono soffermato a riflettere sul significato del regalo. Si è trattato di una pausa di pochi minuti, sufficienti però a farmi comprendere che quell’arbusto non era un semplice elemento decorativo ma un segno della presenza di chi aveva voluto donarmelo. Ammirando la disposizione dei rami e delle foglie mi sentivo accarezzato dolcemente dai sentimenti che avevano accompagnato quel gesto di amicizia.

Stimolata da una necessità interiore, la mia riflessione si è dilatata, spingendomi a dare uno sguardo più generale sul fenomeno del dare e ricevere regali, che occupa un posto importante nella vita delle persone. La cultura in cui viviamo ha moltiplicato le occasioni in cui fare regali diventa quasi un obbligo, accompagnato dall’attesa di riceverne in contraccambio. Le celebrazioni dei compleanni e degli onomastici, dei sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, cresima, prima comunione) e del matrimoni, il conseguimento di una promozione, la festa di San Valentino… non sono che i momenti culminanti di un’abitudine che tende ad allargarsi.

Se in molte di queste occasioni, i regali sono accompagnati da stati d’animo indicanti la qualità positiva della relazione, non mancano, però, i casi in cui essi sono ridotti a strumenti per difendersi dalla vicinanza e dal coinvolgimento affettivo, situandosi così più sul piano dell’avere che su quello dell’essere. Non sarebbe allora auspicabile una riduzione dei regali materiali a cui far corrispondere una crescita del dono di sé alle persone?

Tra le varie modalità attraverso cui attuare questo progetto, quella di regalare ascolto mi sembra una delle più facilmente praticabili. Mi spinge a questa scelta la frase di Wen Tsu, un saggio taoista, riportata sopra. Il regalo che si fa all’altro, ascoltandolo, è costituito dall’accoglienza non solo del messaggio che ci trasmette ma anche dei suoi stati d’animo, della sua persona.

In termini originali, J. Hillman parla dell’orecchio come della parte femminile della testa, attraverso cui offriamo all’altro uno spazio nel quale egli può riversare i suoi problemi, le sue gioie e le sue sofferenze… Per questo, nel gergo dell’analisi transazionale, l’ascoltare è da considerarsi come una delle carezze positive più efficaci che gli individui sono in grado trasmettersi nei loro rapporti, cioè un segno di riconoscimento. Infatti, quando la persona si sente ascoltata, sa di valere agli occhi del suo interlocutore. E’ come se le venisse rivolto questo messaggio: “Quanto mi comunichi è importante, quindi tu sei importante”. Non per nulla, tutte scuole di psicologia e di pastorale considerano l’ascolto come la pietra d’angolo su cui si basa ogni risposta generatrice di aiuto.

Il valore e la bellezza dell’ascolto non devono però fare ignorare le difficoltà incontrate nel praticarlo. Ascoltare l’altro, infatti, implica che io sposti il centro dell’attenzione da me alla persona che mi parla, dimenticando il mio variegato ed esigente mondo interiore, sostanziato di bisogni, desideri, pregiudizi, stati emotivi… Ne deriva che il vero ascolto è possibile solo nel silenzio di tutto il resto. Non suona strana, quindi, l’opinione degli autori che parlano dell’ascolto come di un atto spirituale, impossibile se l’interiorità è assente. Significativa è la preghiera che il re Salomone rivolge al Signore: “Dammi, o Dio, un cuore che ascolta” (1 Re 3,9). Questa breve invocazione mette in luce che nell’ascolto è coinvolta tutta la persona. Nella visione biblica dell’uomo, infatti, il cuore designa il centro dell’essere umano, la fonte intima della sua vita affettiva e intellettuale, dei suoi desideri e dei suoi pensieri; con il cuore l’uomo biblico pensa, vede ama,, discerne e decide.

            Mentre scrivo queste righe, bussano alla porta del mio studio. Questo battito, che si ripete più volte durante la giornata, mi rende consapevole che, a differenza di altri regali, quello dell’ascolto non è riservato a determinate occasioni, ma è praticabile nello svolgersi della vita quotidiana, ogni volta che le persone si incontrano, soprattutto nei momenti in cui avvertono il bisogno di non sentirsi sole nel vivere le gioie e le sofferenza dell’esistenza.

P. Dott. Angelo Brusco

Articolo tratto da Caleidoscopio. Sguardi sulla vita d’ogni giorno, Edizioni Camilliane, Torino, 2014
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