La resilienza
“Tutto ciò che non mi fa morire mi rende più forte”
– Friedrich Nietzsche –
Scorrendo la stampa quotidiana mi sono imbattuto in una notizia che ha attirato la mia attenzione. Samantha, una ragazza diciassettenne di Long Island (USA), ha studiato le reazioni delle cozze ad un ambiente reso ostile a causa del moltiplicarsi dei granchi. Dopo una lunga ricerca è riuscita a dimostrare che esse riuscivano a proteggersi dalle minacce dei predatori sviluppando un guscio più forte.
Questa notizia ha risvegliato in me il desiderio di approfondire la riflessione su un argomento che, da qualche tempo, è fatto oggetto di studio nell’ambito della psicologia e dell’educazione: la resilienza.
Il termine deriva dalla fisica e indica la capacità di un corpo di resistere agli choc e di riprendere la sua struttura iniziale. Nell’ambito della psicologia, è utilizzato per esprimere la capacità di un individuo di superare i momenti dolorosi dell’esistenza e di evolvere nonostante le avversità, spesso uscendone rafforzato.
Tra i numerosi fattori che contribuiscono a rendere resiliente un individuo mi limito a ricordarne alcuni che mi sono stati di aiuto nell’affrontare efficacemente i momenti difficili dell’esistenza. Istintivamente sarei portato a mettere al primo posto la fede, non potendo ignorare il ruolo che questa virtù ha occupato e occupa nella mia vita. Mi rendo conto, però, che sarebbe una scelta dettata più dalla testa che dal cuore. Una riflessione più attenta, infatti, m’induce a preporre alla fede il sostegno ricevuto da molte persone che hanno popolato il paesaggio della mia esistenza.
Se la fede mi ha aiutato e continua ad aiutarmi a trovare un senso agli aspetti negativi della mia vita, essa tuttavia molto spesso è stata mediata dalle carezze, cioè dai segni di riconoscimento, di quanti hanno saputo accogliermi nei momenti difficili, mostrandosi capaci di comprensione ma anche di confronto, di tenerezza e di forza, aiutandomi a utilizzare creativamente le mie risorse. Da famigliari e amici ho appreso ad accettare di essere vulnerabile senza piangermi addosso, a considerare le difficoltà non solo come un ostacolo ma anche come un’occasione di crescita, a non gettare sugli altri la responsabilità di quanto mi accade, a guardarmi allo specchio accettando pregi e difetti, a sorridere con bonomia su di me e su quanto accade intorno a me. Come dimenticare, poi, gli esempi di tante persone costrette a cimentarsi con prove apparentemente superiori alle loro forze, e capaci di mantenere la loro integrità?
La consapevolezza di essere abbastanza capace di resistere ai colpi duri della vita non mi esime dal compito di continuare a rafforzare la resilienza. Imitando le cozze della ragazza americana, sono chiamato a rendere più duro il mio sistema di protezione dagli assalti dei fattori che possono compromettere il mio cammino di crescita umana e spirituale, senza per questo perdere sensibilità e umanità. Lo sento come un debito da pagare alla vita, dono prezioso di Dio, che devo vivere in pienezza pur nei limiti dovuti alle mie fragilità.
Questo lavoro su di me è anche finalizzato ad aiutare quanti incontro nel mio percorso esistenziale, praticando quella forma di amore che trova la sua soddisfazione nel vedere la persona accompagnata capace di assumere la propria responsabilità, di rialzarsi dopo una caduta, di gioire della vita, di lasciare spazio alla speranza, a quella piccola speranza che, come canta Charles Péguy, ogni mattina ci dà il buon giorno.
P. Dott. Angelo Brusco
Articolo tratto da Caleidoscopio. Sguardi sulla vita d’ogni giorno, Edizioni Camilliane, Torino, 2014
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