Costruiamo giorno dopo giorno quello che siamo, e sentiamo di essere, e questo dipende da come riusciamo a dar significato agli eventi della nostra vita e ristrutturare continuamente la nostra identità personale, che può essere definita come un insieme di idee, di emozioni, e di ricordi che ci riguardano, che strutturano una coerente immagine di noi stessi e la convinzione di essere unici e irripetibili, pur nel variare delle situazioni e nello scorrere del tempo.

È uno schema di riferimento attraverso il quale cerchiamo di dare significato e coerenza alle nostre esperienze soprattutto dal punto di vista relazionale ed emotivo, un processo in costante divenire, una narrazione riveduta e corretta che facciamo allo scopo di garantirci equilibrio, valore e, di conseguenza, salute e benessere. Questa identità narrata non nasce tuttavia dalla sola mente dell’individuo isolato, ma è costruita sulle trame dell’appartenenza biologica e culturale, nel rapporto affettivo-relazionale con le figure significative, influenzata anche dai luoghi nei quali viviamo e dalle strutture nelle quali operiamo.

Sono gli altri per noi importanti a confermare la nostra percezione, la nostra narrazione e identità. La continuità della narrazione di sé, e il sentimento di identità che la sostiene (e che viene continuamente rimodellato attraverso il mutare delle situazioni, del proprio corpo e di ciò che ci aspettiamo da noi stessi), è strettamente connessa all’accettabilità di noi stessi da parte delle persone significative. Lo sguardo degli altri e il loro riconoscimento affettivo contribuiscono sia alla percezione di ciò che siamo sia alla possibilità di continuare a crescere e di proiettarsi nel futuro.

Il sentimento di identità è il filo rosso che dà senso e coerenza al racconto della propria vita e ai fatti che la definiscono. Può essere vissuto con tranquillità o subire improvvise interruzioni narrative. A volte viene a mancare una “proiezione nel futuro” che incrocia la nostra incapacità di “proiettarci nel futuro”. È importante saper bilanciare, nella nostra prospettiva temporale, il valore che diamo al passato, il saper vivere positivamente il presente e il coraggio proiettarci nel futuro con equilibrato ottimismo e una sana speranza. Questo vale per persone, ma anche per i gruppi sociali e lavorativi.

Può essere utile per il nostro benessere, per quello degli altri e delle organizzazioni nelle quali operiamo, riflettere su quella che Susan David chiama l’agilità emotiva: «essere flessibili riguardo ai pensieri e ai sentimenti per rispondere in maniera ottimale alle situazioni della quotidianità», al qui e ora della storia che viviamo e alle sue provocazioni. Nella nostra risposta, e nel saper cambiare, sta la possibilità di crescere e l’espressione della nostra libertà. È un tipo di resilienza, come lei stessa la chiama, che ci aiuta ad affrontare i cambiamenti nel presente con una giusta valorizzazione del passato e coraggiosi investimenti sul futuro.

Spesso ci comportiamo in modo piuttosto strano. «Camminiamo (o corriamo) intorno all’isolato della nostra vita, continuando a osservare regole ben definite, implicite o semplicemente immaginate, e restando intrappolati in modi di essere e comportamenti che non ci sono utili. Spesso agiamo – lei afferma – come se fossimo giocattoli caricati a molla, che vanno a sbattere ripetutamente contro lo stesso muro, senza renderci conto che, un po’ più a sinistra o a destra, c’è una porta aperta».

Per crescere bisogna camminare sapendo dove si vuole arrivare ma avendo l’accortezza e il coraggio di rivedere i nostri percorsi e chiedendo la collaborazione di nuovi compagni di viaggio.

Si è psicologicamente agili quando si è capaci di riconoscere che alcuni nostri modi di pensare e di agire sono ancora adeguati alle nuove situazioni, ma che altri sono vecchi e quindi da lasciare. Per fare questo bisogna prendere le distanze, osservarli da prospettive diverse per non rimanere impigliati in schemi mentali e comportamenti che crediamo di controllare, ma che invece ci controllano.

È bella l’immagine che lei propone: «La visione più ampia che possiamo ottenere prendendo le distanze ci consente di imparare a osservarci come se fossimo una scacchiera, piena di possibilità, piuttosto che uno qualsiasi dei pezzi degli scacchi con una quantità limitare di mosse preordinate». Dopo aver creato «lo spazio necessario tra i pensieri e il pensatore» ci si può concentrare di più sugli obiettivi più importanti, rivedendo le modalità per raggiungerli. I valori fondamentali ai quali crediamo sono la bussola che ci indica la giusta direzione e ci sostiene nell’andare avanti. Può essere importante rivedere le competenze necessarie.

Chi prende in eredità un progetto che altri hanno pensato e implementato può essere preso dalla voglia di rivedere tutto in termini di obiettivi ambiziosi e di trasformazione totale. Il vecchio non è necessariamente da buttare e il nuovo non è sempre migliore. È bene sognare ma è altrettanto importante tenere i piedi per terra e camminare facendo piccoli passi, e farli “insieme”.

È importante saper accettare uscire dalla propria zona di sicurezza e accettare le sfide del mare aperto: «abbiamo bisogno di trovare il perfetto equilibrio tra il livello della sfida e le nostre competenze, in modo da non crogiolarsi nella compiacenza e neppure da finire sopraffatti da una sfida troppo difficile».

L’agilità emotiva, che è anche agilità del pensare e dell’agire, ci aiuta a mantenere vivo questo senso di sfida e di crescita per tutta la vita. E questo specialmente nei momenti di cambiamento e di assunzione di nuove responsabilità.

Luciano Sandrin