Recensione di Alessandra Ceresa – counsellor professionista
In un’ottica di sempre maggiore attenzione e sensibilità nei confronti dei bisogni espressi dalle diverse categorie tra cui il disagio scolastico e la disoccupazione, l’autrice Maria Luisa Pombeni, docente di psicologia di Comunità presso l’Università di Bologna, dopo un excursus storico tra i diversi approcci per facilitare l’orientamento, cerca di delineare i confini tra il counseling orientativo, il lavoro psicoterapeutico e l’intervento sociale. Se intendiamo il counselling orientativo un vero e proprio processo che mira all’attivazione della capacità di auto – orientarsi del cliente a partire dall’analisi delle proprie esperienze passate per un cambiamento in ambito lavorativo, l’approccio rogersiano centrato sul cliente, ha segnato una grande rivoluzione nelle metodologie di intervento classiche. Se precedentemente i modelli (come il tratto- fattore) erano atti ad interessare i sentimenti relazionati con la professione, le attitudini, le competenze ed i comportamenti, fondandosi sul presupposto che “gli individui cercano e creano ambienti…atti a fornire e a permettere loro la manifestazione di tratti comportamentali soggettivi” e davano quindi, rilevanza all’intervento prettamente psicologico, la consulenza orientativa centrata sulla persona, prende maggiormente in considerazione gli atteggiamenti del consulente, accentuando la sua modalità di relazionarsi con l’interlocutore piuttosto che i dispositivi utilizzati per facilitarne l’orientamento.
In merito agli atteggiamenti ritroviamo: l’intenzione autentica da parte del counsellor di comprendere l’altro “nel suo linguaggio e nella sua esperienza di vita”, il non giudizio e la non direttività. Durante il colloquio non direttivo il professionista si limita, quindi, a chiarire il contenuto della conversazione e ad utilizzare lo strumento della riformulazione. Più specificamente Carkhuff, allievo dello stesso Rogers, introduce all’interno del colloquio centrato sulla persona, la possibilità da parte del professionista, di prendere esplicitamente l’iniziativa in alcuni momenti chiave della relazione d’aiuto, spostando l’attenzione sul comportamento e la ricerca di soluzione del problema. A questo proposito affianca a comprensione, non giudizio e non direttività, il confronto e l’immediatezza (capacità da parte del consulente di comunicare in modo autentico le proprie impressioni), dando luogo ad un modello bipolare che analizza la dinamica dei processi intrapersonali del cliente ed interpersonali tra cliente e counsellor. Il prestare attenzione da parte del professionista deve quindi essere correlato ad un coinvolgimento del cliente disponibile a condividere e a mettersi in gioco, il non giudizio, la non direttività ed il confronto nella fase dell’auto esplorazione come pure nella fase dell’autocomprensione, devono andare in parallelo con lo sviluppo della capacità del cliente di esplorare, ricostruire ed interpretare liberamente la situazione ed il problema secondo i suoi vissuti e significati. Sempre secondo Carkhuff il processo per essere efficace, oltre a seguire questo evolversi intra ed interpersonale descritto, deve necessariamente perseguire tre obiettivi: auto esplorazione, autocomprensione ed azione costruttiva. Viene, quindi, posto l’accento su quelli che possono essere gli errori più frequenti da parte dell’operatore come l’interpretazione ed il coinvolgimento personale nella situazione descritta dal cliente, tale che l’empatia, verrebbe a sconfinare nella simpatia perdendo in questo modo l’obiettività. Anche le variabili esterne potrebbero, in qualche modo, interferire nell’incontro (il luogo scelto, il tempo a disposizione) ovvero le aspettative di entrambi le parti, in merito al colloquio, ove comunque è l’operatore che, in primis, deve saper gestire la relazione d’aiuto padroneggiando tutte le variabili che possono rientrare nella situazione.
Un capitolo interessante è quello relativo al bilancio personale e professionale di origine francese per la sua attinenza con l’approccio centrato sulla persona di cui ho accennato in precedenza, dalla cui esperienza prenderà spunto la pratica operativa per la gestione dei colloqui individuali di orientamento definita POI (profilo orientativo individuale). Se nelle selezioni del personale si parte dalla funzione lavorativa per arrivare a trovare la persona con le caratteristiche idonee, nel bilancio personale e professionale si parte dalla persona e si arriva al ruolo che può ricoprire mediante la presa di coscienza delle proprie competenze ed esperienze, si tratta in sostanza, di un processo di riconoscimento, identificazione e delucidazione delle proprie potenzialità ed abilità fino all’ “espressione chiara delle risorse inventariate nel corso della consulenza”. Il bilancio è in sintesi, un processo per l’elaborazione di un progetto professionale sia esso a breve, medio o lungo termine a partire dalla storia dell’individuo.
Nell’ambito della costruzione del bilancio devono essere perseguiti tre obiettivi fondamentali: a) l’analisi critica della propria esperienza professionale (episodi significativi, competenze utilizzate e non, benefici riconosciuti e non) b) identificazione dei valori (valori, preferenze, scelte e contraddizioni) c) costruzione del progetto ( inteso come negoziazione tra desiderio e realtà che deve essere riaggiustata in funzione alle nuove consapevolezze acquisite durante il percorso). “Il progetto presuppone un’analisi della relazione finalità-mezzi, fondata sul rapporto desiderio – bisogno – valore e mediato dal rapporto risorse – vincoli – gestione.”
Nella costruzione di un bilancio possono essere identificate almeno tre fasi:
- Accoglienza: intervista esplorativa in cui si informa il cliente in merito a progetti e ad opportunità lavorative, si comprendono le ragioni personali, si valuta l’opportunità di fare un bilancio, si definisce la problematica e si definiscono le regole (aspetto legale – amministrativo e pedagogico ovvero di responsabilizzazione del cliente). Può anche non essere gestito dal professionista che accompagnerà il cliente nel percorso orientativo
- Emersione del potenziale individuale: più colloqui in cui si analizzano in profondità le risorse del cliente con successiva riorganizzazione in vista di una risposta alla domanda posta dal cliente. Tale valutazione delle risorse può essere effettuata nei confronti di se stessi (punti di forza e debolezza) e nei confronti degli altri (gruppo di soggetti confrontabili)
- Riflessione: il professionista rimanda al cliente le informazioni ricevute affinché quest’ultimo si confronti rispetto al proprio progetto e fornisce gli strumenti per trattare la differenza sorta dal confronto tra l’immagine che l’utente ha di se stesso e quella che trasmette. Questa è la fase in cui si entra definitivamente nel processo di cambiamento.
La durata della pratica di bilancio personale varia dalle 20 alle 50 ore anche a seconda della tipologia di cliente (singolo o gruppo). Nel primo caso gli incontri sono stabiliti con il cliente, nel secondo caso è necessario redigere un calendario.
Nel capitolo relativo alle competenze professionali ho trovato molti spunti sulle peculiarità della figura del consulente di bilancio quale persona esterna la mondo produttivo e priva di rapporti gerarchici con il cliente, nonché specialista dell’interazione tra individuo ed ambiente lavorativo. Il consulente utilizza tecniche come la riformulazione – chiarificazione, evita di porre domande che inducono risposte (domande chiuse), è paziente e funge da specchio, riformula in positivo le affermazioni negative del cliente, aiuta il cliente a vedere le cose da un altro punto di vista, facilita nuovi spunti di riflessione, ricentra il colloquio in funzione dell’obiettivo e separa i fatti dai sentimenti e dal giudizio. Non è un conoscitore dei dettagli formativi e occupazionali ma stimola il soggetto a cercarsi le informazioni di cui necessita, nonché lo sostiene, lo appoggia, lo confronta, non compiace e rimette in discussione al fine di aiutare il cliente a focalizzare l’obiettivo.
Il consulente deve inoltre prestare attenzione alle strategie di auto – difesa prestate dall’utente (mascheramento dell’insicurezza, autopromozione, supplica, manipolazione, tendenza a fornire risposte socialmente apprezzabili, risposte evasive, luoghi comuni), non deve farsi influenzare dai propri pregiudizi (modalità di presentarsi del proprio interlocutore, luogo di provenienza) e modulare le tecniche utilizzate ed il vocabolario in relazione al tipo di utente presente.
Il libro continua evidenziando le schede tecniche per la costruzione del POI (profilo orientativo individuale citato in precedenza) e successivamente, alcune storie di consulenza orientativa nelle quali l’autrice utilizza, per l’appunto, la costruzione del citato profilo orientativo individuale per individuare con il cliente tre macrosettori: rapporto soggetto – esperienza formativa, rapporto soggetto – esperienza lavorativa e analisi del potenziale individuale. Per quanto mi riguarda mi sono avvicinata alla lettura di questo libro in quanto, durante la pratica supervisionata, mi è stato richiesto di dare un’impostazione al colloquio maggiormente rivolta al counselling orientativo. Inizialmente mi sono trovata parecchio in difficoltà soprattutto nella definizione del perimetro operativo, avendo lavorato per due anni sulla limitazione della mia tendenza direttiva nel colloquio, mi sono trovata in questo ambito a dover dirigere l’incontro invece di poter lasciare che fosse il cliente a portarmi dove voleva pur lasciandogli, comunque, un discreto parametro di scelta. Per quanto attiene, infine, l’aspetto tecnico della costruzione del POI tramite l’utilizzo delle schede tecniche, ritengo possa essermi stato d’aiuto sotto l’aspetto informativo ma lo ritengo troppo tecnico per il mio attuale livello di colloquio pertanto, ho optato per la soluzione di lasciare al cliente la piena libertà creativa nella costruzione del grafico che più rappresentasse il suo rapporto con l’esperienza formativa, lavorativa e per quanto concerne le risorse a sua disposizione (che erano state precedentemente discusse in sede di colloquio). Da ciò ho potuto notare quanto il cliente avesse fatto propri i concetti espressi durante l’incontro e come la sua creatività fosse stata di supporto nella fase della consapevolizzazione delle macroaree citate.